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Storia

LE ORIGINI DI TERRANOVA SAPPO MINULIO



1.LE ORIGINI DI TERRANOVA SAPPO MINULIO. La nobile città di Terranova sorge su un altura tutt’ intorno cinta da rupi, alle falde dell’ appennino. Scorre ai suoi piedi il fiume Marro. Questa città sorge su un belvedere, da cui domina una vasta pianura. Così è come la descrisse intorno alla metà del cinquecento, lo storico calabrese Gabriele Barrio. Egli continua dicendo che questa antica città si è formata dopo la distruzione di Tauriana, vastissima città della piana distrutta dai saraceni. Si vengono così a delineare due tempi nella storia della città: quello della sua fondazione e l’altro della sua ricostruzione e rinascita in epoca medievale. Mentre le tradizioni dettate dal Barrio, e successivamente anche dal Marafioti, si andavano ormai consolidando, un altro racconto circa le origini della città incominciava ad acquisire credito tra gli eruditi locali. Si sa infatti che già alla metà del settecento il nome di questa terra fosse Taurianova e che la sua fondazione dovesse collocarsi molto più indietro nei secoli. Si ha di ciò una testimonianza chiara in un libretto del 1754, che conteneva il testo di lingua latina di un oratorio sacro creato dal maestro di cappella don Giuseppe Antonio Barba e dedicato al vescovo della diocesi, Ferdinando Mandarani. Tale componimento è imperniato nel ricordo delle meraviglie cerate dal SS. Crocofisso nella città a lui devota. Si sovrappongono così l’una e l’altra voce riguardo la costituzione di Terranova. La più recente leggenda, collegava la fondazione della città in seguito alla distruzione dovuta alle guerre gotiche di un’ altra città, che aveva cessato di esistere prima di Taureana, e che sorgeva sulle rive del Metaurus. L’emigrazione più a sud dei suoi abitanti formarono una nuova città con il nome di Metaurianova. Da qui poi Taurianova e infine Terranova.

 

2. LA FONDAZIONE DI TERRANOVA. Risale al 1272 un documento della Cancelleria Angioiana che attesta l’esistenza nella piana di un centro abitato, denominato Terranova. A confermare l’esistenza della città prima dell’arrivo degli Angioini, si aggiunge anche la testimonianza che Carlo, disceso in Calabria nel 1266, trovò sull’orlo del Marro un castello, designato col nome di “castrum S. Martini seu Terranovae”. Risulta chiaro che i due termini di S. Martino e Terranova stanno a designare lo stesso e unico castello. I registri Angioioni ci informano delle vicende di quel castello, ma esse non parlano più del castello di S. Martino ma indicheranno semplicemente il nome di Terranova. S. Martino riprenderà in seguito il suo posto nella geografia della regione come casale di Terranova. Dal racconto di Malaspina risulta chiaramente che il luogo dove fu riedificato il castello, prese il nome di Terra Nuova. Il Gualtieri scrisse invece ch’ella trae origine dall’antica Sappo Minuli dè Greci. Erano numerosi infatti gli indizi sui quali egli poteva fondare il convincimento che in quel luogo sorgesse anticamente un abitato dei Greci, e qualche singolare toponimo di origine greca potè trarlo in inganno inducendolo a credere di averne scoperto l’antico nome di Sappo Minuli(o).

 

3. TERRANOVA NEL PERIODO ANGIOINO. Il 1283 segna per Terranova una data importante. La città si riafferma come il perno della linea di difesa della piana tra Seminara e Oppido. Terranova con il suo castello doveva costituire, secondo i piani di Carlo, non solo come argine contro l’avanzata degli arogonesi, ma anche la base per un contrattacco nella speranza di ricacciarli nelle terre occupate sul suolo calabro. Il 30 marzo dello stesso anno egli riunì il parlamento nella pianura di S. Martino, in cui intervennero tutti i prelati, i baroni, e i feudatari. In questa riunione furono pubblicate i nuovi capitoli del Regno. Nella primavera di quello stesso anno la malaria però provocò gravi perdite e una moria di soldati, tanto che fu necessario trasferire più a nord le forze angioine. Terranova riuscì a resistere all’attaco degli aragonesi, ma subì gravi e incenti danni. Sul finire di maggio del 1283 sopraggiunse la disfatta di Carlo, che costretto a ritirarsi al confine della Lucania, consegnò la Calabria intera nelle mani del re d’Aragona.

 

4. VICENDE FEUDALI DI TERRANOVA. La storia feudale di Terranova prende avvio dal 1296, anno in cui Carlo d’Angiò e Giacomo di Aragona fecero pace (la pace di Caltabollota) e le terre aragonesi cominciarono a essere restituite agli Angioini. Ruggero di Lauria, ammiraglio che aveva svolto un’importante ruolo in quelle lotte, assicurò alla flotta aragonese il dominio sul mare, ed egli ebbe in cambio tutte le terre confiscate al padre, ma ottenne anche la signoria di Terranova. Il feudo passò poi nelle mani della figlia Margherita di Lauria e al marito di lei, Niccolò di Joinville. Successivamente subentrò nei diritti della contea il nipote Ruggero Sanseverino. Questi trasferitosi in Napoli, lasciò i suoi beni ai figli. Terranova fu nelle mani quindi di Roberto Sanseverino. Morto nel 1932, gli successe il figlio Enrico, che pagò con la vita nel 1406 la ribellione contro il re Ladislao. Con la scomparsa dei Sanseverino, la contea di Terranova cadde sotto la signoria del conte di Sinopoli, rimanendo priva di tutti i suoi possessi, sino a quando Saladino di Sant’Angelo feudatario di Terranova, ottenne il possesso della città di Oppido, con il casale Varapodio. Fu sotto la guida di Tommaso Caracciolo che Terranova riuscì ad espandersi per tutta l’ampiezza della piana. Condannato subentra nella contea di Terranova, Marino Correale. Il quadro territoriale del feudo rimase immutato per più di mezzo secolo. Nel 1558, il ducato di Terranova venne venduto al genovese Tommaso de Marini e pochi anni più tardi venne acquistato da Giovan Battista Grimaldi. Questa città rimane ancora capitale dello Stato e con l’elevazione di Gerace a sede del principato, si determina un nuovo assetto che porterà a far riemergere in tre unità ben distinte i tre feudi originari, e si avranno così il Principato di Gerace, il Ducato di Terranova, e il Marchesato di Gioia, costituendo lo stato di Gerace. Terranova si restringe così nell’ambito dei suoi originari confini della piana, lasciando a Gerace il nuovo titolo sul piano feudale ma mantenendo pur sempre una netta prevalenza amministrativa rispetto a Gerace, favorita dalla maggiore estensione e ricchezza del suo territorio.

 

5. IL TERRITORIO DI TERRANOVA Il territorio di Terranova era abbastanza vasto. Esso comprendeva tutta l’ampia zona racchiusa tra il Marro-Petrace e il Vacale, e si estendeva, sul lato marino, dalle vicinanze di Gioia all’argo di Rosarno, e dall’altro lato giungeva fino alla cresta della montagna. Entro quest’area erano sistemati i numerosi casali del ducato: S.Martino, Rizziconi, Iatrinoli, Radicena, Casalnuovo (poi Cittanova), Scroforio, Galatoni, Molochio e Molochiello, accanto ad altri piccoli centri rurali, come S.Leo, Vatoni, Bracali, Cristò, Carbonaria e d altri tanti ancora che sorgevano ai margini della boscaglia. In questa zona, adibita un tempo a pascoli si svilupparono intorno al seicento le ampie culture cerealicole. Con l’emergere di Terranova come centro di una vasta signoria, capoluogo dapprima della contea e poi del ducato, prende avvio e successivamente si afferma una decisione della piana che la qualifica come un’entità che è insieme geografica e territoriale, e si dirà piana di Terranova, un termine che diverrà poi Terranova della piana.

 

6. TERRANOVA NEL CINQUECENTO. Gli anni che seguirono furono i più gloriosi nella storia di Terranova. Diventata capitale dell’ampio dominio di Consalvo, essa divenne anche il centro di attività agricole e di scambi commerciali, assicurandole un posto di preminenza nel territorio meridionale calabrese. Uno dei motivi che fecero divenire Terranova così importante, fu l’espansione agraria. I terreni in effetti dapprima erano paludosi con presenza di molte foreste adibite a pascoli, successivamente vennero convertiti alla produzione di grano e altri cereali, vennero inoltre impiantate la produzione del lino, della canapa e si sviluppò anche la cultura del baco da seta. Si diede inoltre più largo incremento alla vite e alla produzione del vino. Per tutti questi motivi e per un fattore anche di sicurezza che la stessa città offriva alla propria popolazione saldamente difesa dal suo castello, si scielse Terranova anzicchè Reggiuo Caloria come luogo del Secondo Concilio Provinciale. Il motivo della sicurezza, non era però l’unico che potesse valere per far cadere la scelta della sede del Concilio su questa città. La città infatti era in una posizione ridente e aperta all’aria che giungeva dal mare. Dalla sua altura si godeva un panorama bellissimo; “habitatione bellissima” la chiamava il Marafioti, dandole il vanto di essere una delle più belle città della regione. Due vie lunghe e dritte, incrociatosi nel mezzo, dividevano la città in quattro grandi rioni, giungendo sino al cerchio delle mura dove si aprivano le quattro Porte della città: Porta del Vento presso il castello,  Porta del Calomeno che menava alla valle del Solì, Porta del Ponte volta verso lo spiazzo del mercato e Porta di Calinopoli da cui partiva la strada che discendeva al Marro, e proseguiva verso S.Martino.Terranova aveva visto intanto sorgere numerose chiese parrocchiali di cui tre entro le mura: S. Noccolò dei Latini, S. Salvatore e quella arcipretale di S. Maria della Colomba o del Cantone.

 

7. SVILUPPO DEMOGRAFICO DI TERRANOVA. A seguito del processo di rinnovamento agrario di tutto il territorio, si ebbe in Terranova l’incremento della popolazione. Numerosi infatti erano coloro che si erano trasferiti in quella sede, attratti dalle possibilità di sviluppo delle fertili campagne della piana. Una più precisa indicazione dello sviluppo demografico raggiunto da Terranova nel Cinquecento ci viene offerto dai dati provenienti dalle “carte dei fuochi” dell’Archivio di Stato di Firenze. Nel 1561 Terranova aveva 2419 fuochi, ossia una popolazione che va dai dodici ai quindicimila abitanti. Era dopo Tropea la seconda città più grande della regione. Nel corso del 1800, nel generale declino economico e sociale di tutto il mezzogiorno, la popolazione di Terranova si riduce solamente a 1250 fuochi.

 

8. IL TERREMOTO DEL 1783 ( IL GRANDE FLAGELLO). Una nebbia grigia avvolgeva ogni cosa, soffocava la fioca luce dei canali a petrolio, attutiva il suono dell’ Ave o Maria che proveniva dalla chiesa del SS. Crocofisso. Le persone ingozzate nei mantelli, rientravano nelle loro casette prime dell’ora, forse preseghi della tremenda catastrofe che li doveva colpire. Tutto era triste solitudine. Interrota dal fruscìo delle acque del Solì che scendevano dalla montagna per incontrarsi con il fiume Marro. Spuntò l’alba del 5 febbraio. Un sole pallido quasi mancante di energia, si osservava attraverso una densa nebbia che copriva tutto. Si videro con volo incerto volare gli uccelli e degli animali domestici darsi alla fuga, altri fremevano di spavento. Questi segni non misero però in guardia quell’infelice popolazione. Solo la parola dei più vecchi aveva profeziato la tremenda sciagura: “castighi di Dio…” dicevano, è l’ira del Signore… la profezia era divenuta realtà. La terra incominciò a tremare. Terranova divenne in pochi secondi un vano nome. L’antica sorridente cittadina veniva sfaldata dalle sue parti e precipitosamente buttate ai confini del Solì e del Marro. Altre conficcate nell’aperto seno del monte, altre rimasero sparse sul proprio posto, come avanzi del terribile flagello. I pochi superstiti erano spaventati da quella lugubre visione. Lo smarrimento, il dolore per la perdita di tanti cari, dei propri beni, la contrarietà dell’atmosfera facevano credere la fine del mondo. Ma la tragedia non finì così. Pochi intervalli e poi in meno di un’ora altre tre scosse di terremoto. Scendeva la sera e un filo di speranza era ancora negli animi dei pochi fortunati ancora in vita… la pace dopo la tempesta. Ma anche questa svaniva. Le tenebre della notte, il lamento dei feriti, la pioggia che ritornava a scendere abbondante, il soffiare dei venti formano un tutto in grande orrore e desolazione nei pochi uomini rimasti in vita da rendere un peso, la vita che a loro gli era stata risparmiata. Ed a queste dolorose circostanze si univa il ritorno dei tremoti per tutta la notte. Tra queste scosse la più terribile fu quella che avvenne intorno alle sette e mezzo. Il terremoto del 1783 portò una distruzione totale e completa della città di Terranova. In nessuna parte si vide uno sconvolgimento come quello di TERRANOVA. Questa città era edificata al di sopra di tre profonde gole,. Nella prima scossa del 5 febbraio, una parte del suolo scivolò sul pendio di una di quelle gole. Su un altro punto della città il terreno venne diviso per tutta la sua altezza da una fenditura perpendicolare; una delle due metà si distaccò e cadde nella gola che le si aprì al di sotto. Su duemila abitanti che Terranova contava, millequattrocento furono schiacciati e seppelliti sotto le rovine. Terranova fu letteralmente capovolta. I morti furono 1452 di cui: maschi 494; femmine 317; ragazzi 603; monaci 23 e monache 15.

 

9. RICOSTRUZIONE DI TERRANOVA. Con la distruzione dell’antica Terranova non perirono tuttavia le speranze dei superstiti, che ambirono di vederne sorgere un’altra che riflettesse nel suo impianto urbanistico gli aspetti singolari della patria perduta, e fosse al pari di quella, ordinata e ridente. Risorse così Terranova, graziosamente adagiata nel sito dov' è oggi, tra la Chiesa di S. Maria delle Grazie, ora del Crocifisso, il convento delle agostiniane e largo Trinità, che ricorda la chiesa ononima un tempo ivi esistente. Era inoltre vivo il richiamo della profonda religiosità dei padri, ed i figli superstiti vollero una grande chiesa per la loro collegiata, destinata più tardi ad accogliere la venerata Immagine del Crocifisso, che costituiva l’eredità più preziosa lasciata dai padri. N'é fu troncato il legame che univa Terranova e i terranovesi agli altri Paesi della Piana, tanto che un terranovese Domenico Tutino, lasciò i suoi beni con testamento pubblico del 27 marzo 1797 per la formazione in Iatrinoli di un ospedale che doveva servire ai bisogni dell’intero distretto.

 

10. IL SS. CROCIFISSO: VITA RELIGIOSA E PIETà POPOLARE. Fra le molte opere che si racchiudevano a Terranova, quella che era di maggior pregio e superava di gran lunga le altre ,fu l’immagine miracolosa del SS.Crocofisso. In quale epoca il bel volto del Salvatore abbia incominciato a vegliare sulle vicende del nostro popolo, noi non lo sappiamo, ma ecco quanto ci dice la tradizione. Nel secolo XV quando i Saraceni infestarono le contrade del mezzogiorno della Calabria, proprio in questo paese di Terranova avveniva un fatto inaudito. Siffatti nemici di Cristo, avendo saputo che presso la Porta del Vento sorgeva il tempio detto la Giudecca, dove una miracolosa immagine del SS.Crocifisso veniva onorata con grande devozione dai terranovesi e da altri credenti, essi giurarono di disfarsi del Santo Simulacro. Era inverno, il vento di levante soffiava forte ed impetuoso, mentre lo scroscio delle acque del Solì, davano un ritmo lugubre e spaventoso. Scendeva la sera. Un manipolo di Saraceni, sfondata la porta della sacrestia entrava nell’abside della chiesa. L’oscurità della stessa non spaventava quegli uomini. E là, sul sacro altare e dentro la sua nicchia era posto il SS.Crocifisso. Una voce rauca tra lo sdegno e la gioia si udì in quel divino silenzio: ecco il miracoloso Crocifisso. Due dei Saraceni lo presero e lo portarono fuori dalle mura della chiesa. “Plasmatelo di pece” ordinò il capo. “datelo al fuoco e alle fiamme”. Così fecero. Una rossa fiamma, come di sangue, illuminò quel luogo, mentre i sacrileghi presi di spavento si diedero a precipitosa fuga per l’improvvisa scossa di terremoto, avvenuta verso le ore 21 del 27 marzo 1638.

 

11. IL RICORDO DELLA TRADIZIONE. Non si può ripensare senza tenerezza al racconto del memorabile avvenimento che è la storia, giusta tradizione del SS. Crocifisso. Era passato lungo tempo dall’esacrando fatto, quando da un villaggio denominato Molochiello, un fatto eclatante mette in movimento alcuni di quei villici. In una sera di primavera una visione celeste, meraviglia i buoni contadini di Molochiello. In mezzo ad una folta siepe due lumi erano accesi. Tali fatti si ripeterono per ben tre sere di seguito tanto da riferire tutto alle autorità di Terranova. Recatasi questi sul luogo, nulla poterono vedere per la fitta siepe che si sovrapponeva, e pensarono di darvi fuoco. Ma la loro sorpresa fu grande, nel vedere dividersi le fiamme lasciando illesa la parte ove videro i due lumi e quando spentosi il fuoco vedono illesa dalle fiamme l’immagine del SS. Crocifisso. Fù quello un giorno di trionfo, fede e di gran festa. Tale notizia fu portata alla città di Terranova, la quale improvvisò una solenne processione, rilevando la sacra Immagine e portandola in trionfo alla chiesa Madre. Senonchè il giorno seguente, la gente ritornata in chiesa a venerare la sacra Effigie, non trovò più il Crocifisso. Corsero subito al luogo del ritrovamento e videro il santo Salvatore. Riconobbero che Lui, voleva essere là onorato e quindi si diedero all’Opera per la edificazione di un tempio che chiamarono della Giudecca. Ma il terremoto del 5 febbraio del 1783 distrusse completamente la chiesa. I superstiti del terribile flagello si diedero alla ricerca della portentosa Croce, che fu rinvenuta intatta sotto quelle rovine e portata nella piccola chiesa delle Grazie. Da quell’epoca ad oggi, Gesù Crocifisso ha fissato la sua prediletta dimora, nel piccolo e grazioso paese di Terranova Sappo Minulio.

 


 

 

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